La prima volta che mi è capitato di salire su un palco avevo sei anni, facevo la prima elementare e avevo un ruolo con tanto di battute nella recita natalizia. In realtà la battuta era solo una, «oste della malora!», e la pronunciavo con enfasi da moralizzatore quando il locandiere diceva a Maria e Giuseppe che lì, per loro, posto per dormire non ce n’era. Arriva il mio momento e io convinto esclamo: «oste della marola!», che non vuol dire niente. Poi, preso atto della performance imperfetta, piango disperato; e continuo a piangere anche mentre la maestra mi porta oltre le quinte. Quella mattina scopro quanto sia paralizzante mostrare agli altri la propria fallibilità. Non che prima d’allora non avessi sbagliato qualcosa, figurarsi, ma mai l’avevo fatto davanti a un pubblico, mai mi ero sentito così consapevole dello sguardo altrui. Ecco, dunque, a che cosa è dedicata la XX edizione di Torino Spiritualità: all’esperienza dell’umana imperfezione che tutti, presto o tardi, incontriamo.

Il titolo che abbiamo scelto, Come legni storti. L’imperfezione, l’errore, l’inciampo, è invece un omaggio al filosofo Immanuel Kant, che così definiva l’essere umano, un “legno storto”, e ne traeva la conclusione che da una creatura così tortuosa e incompiuta non potesse mai nascere qualcosa di perfettamente dritto. E in effetti, chi tra noi può affermare di non aver mai compiuto un errore, di non aver commesso un passo falso, di non aver preso, almeno qualche volta, lucciole per lanterne? Nessuno, perché l’imperfezione è costitutiva di ciò che siamo, è la marca della nostra naturale fragilità, ma è anche segno della nostra capacità di osare l’imponderabile e, attraverso gli abbagli, giungere a rettificare le nostre idee sul mondo.

Eppure, soggetti a un clima sociale che condiziona il nostro agire imponendo canoni di insostenibile performatività, viviamo ogni svista come umiliante, negandoci così la possibilità di riflettere in modo profondo sull’esperienza dell’imperfezione; che non solo è comune, ma solleva domande degne d’attenzione: come è giudicata la fallibilità nella nostra cultura?
Come assumiamo le responsabilità per le conseguenze delle nostre mancanze? Come ci comportiamo con quelle degli altri? Quale ruolo ha l’inciampo nella ricerca spirituale? Si può fare pace con la paura di sbagliare? Possono, i legni storti, raddrizzarsi quel tanto che basta a vivere insieme senza cadersi addosso?

E proprio dal legno storto prende spunto l’immagine guida di questa edizione, realizzata dall’illustratore Francesco Chiacchio, che gioca con la suggestione kantiana per rovesciarla: il legno è ora quello drittissimo, geometrico e svettante di una squadra da disegno (ma con una piccola pecca… la vedete?), qui trasformata nella vela di una barca che solca un intricato oceano di linee curve. Come a dire che, a certe condizioni, anche l’imperfezione può essere una via.

Ma allora, qual è l’intento dell’imminente edizione di Torino Spiritualità? Proporre un elogio dell’errore? Un’apologia dell’imperfezione? No, perché errori e imperfezioni possono condizionare la nostra e l’altrui esistenza quanto il culto della performance o l’eccesso di perfezionismo. Ci sono imperfezioni che aiutano a progredire ed errori che indicano nuove strade, ma ci sono errori che ricadono con la violenza di un martello e imperfezioni che congelano la vita. Ci sono inciampi che ridimensionano chi li compie e inciampi che, scambiati per verità, alimentano feroci illusioni di onnipotenza, inciampi che creano problemi e inciampi che generano soluzioni. Insomma, le imperfezioni ci sono. Gli errori si commettono. E hanno, le une e gli altri, diversi volti. Per questo non conviene ignorarli, minimizzarli o temerli. Piuttosto, conviene provare a conoscerne meglio dinamiche ed effetti. E poi, di questa maggior confidenza con l’imperfezione che siamo, farne il miglior uso possibile, anche a rischio di dire “marola”.

 

Armando Buonaiuto
Curatore Torino Spiritualità